BUONI FRUTTIFERI POSTALI

buoni postali fruttiferi (BPF), introdotti nel nostro ordinamento con d.l. 16 dicembre 1924 come forma di finanziamento dello Stato alternativa ai buoni del tesoro, nominativi e rimborsabili a vista, negli anni ottanta andavano a ruba. Ma oggi potrebbero tradire le aspettative. Quando l’inflazione galoppava (nel 1982: 16,2%, 1983: 12,30%), garantivano rendimenti faraonici… addirittura fino a 30 anni dopo. E oggi sono in scadenza (art. 175 Codice Postale: “possono essere riscossi entro la fine del trentesimo anno solare successivo a quello di emissione”).  Bastava investire 1000, 2000 o 5000 lire, per avere nel futuro del nuovo secolo somme davvero importanti. Ma oggi quando figli e nipoti vanno finalmente in Posta a riscuotere, magari dopo complicati calcoli applicando percentuali sulle vecchie lire fino alla conversione in euro, potrebbe arrivare una brutta sopresa. Per un’ingiustizia, una storia all’italiana. La legge, già prima degli anni ottanta, prevedeva che lo Stato potesse cambiare le carte in tavola e modificare il rendimento dei buoni fruttiferi postali già emessi. Così diceva il Codice Postale (d.P.R. 156/1973, come modificato da l. 588 del 25.11.1974) che prevedeva che i tassi di interesse (art. 172 “esigibili soltanto all’atto del rimborso del capitale”) potessero essere modificati da decreti ministeriali, anche con effetto retroattivo (“le variazioni del saggio di interesse dei buoni postali fruttiferi sono disposte con decreto del Ministero del tesoro, di concerto con il Ministro per le poste e le telecomunicazioni, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale; esse hanno effetto per i buoni di nuova serie, emessi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, e possono essere estese ad una o più delle precedenti serie. Ai soli fini del calcolo degli interessi, i buoni delle precedenti serie, alle quali sia stata estesa la variazione del saggio, si considerano come rimborsati e convertiti in titoli della nuova serie e il relativo computo degli interessi è effettuato sul montante maturato, in base al decreto previsto dal presente articolo.”) E così ha fatto il Governo il 13 giugno 1986, quando l’inflazione italiana scendeva (1984: 9%, 1985: 8%, 1986: 4,2%) e, avvalendosi di quanto previsto dalla legge, ha “falciato” il rendimento dei buoni già emessi, emettendo la nuova “serie Q” che variava il rendimento dei tassi relativi ai buoni appartenenti alle serie precedenti emessi fino al 30.06.1986, tra cui quelli della serie O e serie P. Niente da fare quindi per tutti i buoni postali oggetto di modifiche o “rimodulazioni” da parte dello Stato? Le condizioni possono risultare modificate? Oppure si può fare qualcosa? Finora non hanno portato da nessuna parte le giuste battaglie giudiziarie portate avanti dai consumatori che hanno fatto la scoperta di non poter contare sul “tesoretto” chiuso da tempi immemori ad ammuffire in cassaforte. Una risposta è arrivata dalla Cassazione, a ruota da giudici di merito e l’Arbitro Bancario Finanziario: occorre verificare la corrispondenza tra quello che riporta il titolo e la serie vigente al momento dell’acquisto (v.in questi termini, Corte di Cassazione a Sezione Unite con Sentenza 13979/2007 perché “nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal d.m. che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali – destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori – che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del buono.” Così anche es. decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario: Collegio di Milano n. 7437 del 7 novembre 2014 , conforme alla decisione del Collegio di coordinamento n. 5673/2013. In precedenza, anche Collegio di Napoli del 4 gennaio 2013, Collegio di Milano 8 marzo 2013, Collegio ABF di Milano n. 315/2011; Collegio ABF di Napoli n. 2615/2012. Per fare qualche esempio: (i) il signor Rossi ha acquistato il buono nel 1987: se il titolo riporta il vecchio rendimento e il timbro della serie emessa dopo la modifica del 1986, allora niente da fare, vale il rendimento (peggiorativo) riportato dal timbro. (ii) il signor Rossi ha acquistato il buono nel 1987: se non è stato apposto nessun timbro sul modulo della serie P (o di altra serie precedente a quella emessa con il decreto dell’86), allora lo stesso avrà diritto al rendimento migliore (precedente). (iii) il signor Rossi ha acquistato il buono dopo il decreto dell’86 ed è stato apposto (per un errore delle poste) un timbro che garantirebbe un rendimento superiore a quello offerto dalle Poste. Anche in questo caso “carta canta”: si applica il rendimento previsto sul buono. Niente da fare invece per i titoli acquistati prima del decreto dell’86 (es. serie O e P) per i quali si applicano le modifiche peggiorative del DM del giugno ’86,  salvo che le indicazioni stampigliate a tergo sui titoli fossero differenti da quelle previste nel regolamento istitutivo della serie in vigore al momento dell’acquisto del buono (in questo caso si applicherebbe il rendimento previsto dal titolo cartaceo). Analoghe considerazioni valgano per quanto riguarda la prescrizione del diritto al rimborso del titolo che è variata conseguentemente all’emissione, ad esempio, della serie AD, regolamentata dal DM del Tesoro 23 luglio 1987 n. 729700 (art. 1: “con effetto dal 1° ottobre 1987  è istituita una nuova serie speciale di buoni fruttiferi postali a termine contraddistinta con lettere AD; art. 2: “i buoni della nuova serie speciale avranno durata di sette o unidici anni e, alle scadenze, verrà corrisposto unitamente al capitale un interesse lordo pari, rispettivamente, ad uno o due volte il capitale stesso.”). Prima di rinunciare ai tuoi diritti, controlla quindi con noi.